Pensieri sparsi nei giorni di ricovero in ospedale –primi di marzo 2009

 

-        Piccoli deliri notturni con febbre e musica all’orecchio. Tra uno stato di esaltazione, soprattutto per la musica araba, e uno di prostrazione per il malessere e la cognizione della condizione in cui mi trovo.

-        La notte da sveglio, molto più che il giorno, è un accavallarsi di pensieri, sensazioni strane, o realistiche, concrete. Trovare la forza fisica, che manca, a tutti i costi per orinare, alzarsi dal letto per non farla sempre nel pappagallo, è un’aspettativa. Poi il sonno, soltanto dopo un crollo dovuto alla stanchezza, arriva all’improvviso, cala giù netto, tutto d’un colpo.

-        Il compimento di un piccolo gesto, che in condizioni normali è talmente facile ed abitudinario da risultare insignificante, diventa un trionfo. Dà la sensazione che il fisico, pur a passi di formica, si riprende.

-        Si alternano momenti di sconforto, il tempo li segna con la sua impressione di tremenda lentezza. Ma è tutto condensato nello stato d’animo, il disagio è statico. Ti chiedi come e quando puoi ritornare alla giornata da sano e la risposta la trovi nell’attesa, stracarica di pazienza e lucidità.

-        Il tempo, il suo scorrere, non dovrebbe essere sempre uguale? Perché sembra che per te che sei ricoverato in ospedale un’occhiata all’orologio fornisce come risultato più o meno la stessa ora? Questo anche quando ripeti la sbirciata dopo che, secondo te, è già passato un bel po’ di tempo? Forse il blocco è nell’inattività dell’uomo, ci esprimiamo sia nelle azioni che nelle non azioni, ma queste ultime impongono una specie di ralenty, invischiano il tutto.

-        Quando sei in condizioni normali e vedi i pazienti nei luoghi di cura, difficilmente ti identifichi al posto loro. Se il malato sei tu, la visione mentale si diversifica, hai una botta di presa di coscienza. Il ruolo di paziente non è trasferibile.

-        La pillola che ha la funzione di gastroprotettore…Non potrebbe essere il “magnaccia dell’apparato digerente”?

 

                     Carlo Giarletta

 


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