In napoletano sughero si dice “suvaro”. A tale proposito, quando mi trovo a sfogliare nel pensiero il libro dei miei ricordi, in particolare quelli degli anni sessanta, per correlazione con il termine dialettale summenzionato, mi soffermo a volte sulla pagina dedicata ad uno dei frequentatori del bar “Tirreno” a Mercatello, quartiere in periferia di Salerno. Alfonso Auletta, il soggetto in questione, era un uomo sui quarant’anni che si mostrava come una persona simpatica ed amabile. Grassottello, ma robusto, di statura media, occhi verdi e capelli ricci, castani. Sorrideva spesso e si tratteneva piacevolmente con gli altri nel locale. Per la conformazione della testa, gli avevano dato il soprannome di “ ’o Suvaracchione ” (il grande sughero) . L’uomo lo aveva accettato bene ed era il primo a riderci sopra Gli avventori dicevano anche che gli mancava un compagno dalla corporatura a forma di bottiglia, così i due avrebbero fatto una coppia ben assortita. L’Auletta, sempre con il sorriso sulle labbra, era solito ribattere dicendo: “Sto provvedendo, ancora nun l’aggio truvato. Quanno ‘o ‘ncoccio, v’’o porto ccà.”

 


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