Un tale Giuseppe Perconti racconto' che un pomeriggio di un giorno del passato le fiamme di attimi divampanti di confusione e paura, trascendente nel panico, vissuti al macello comunale del paese di Licata, vennero spente da un temerario. Il “pompiere” fu un giovane senzapaura, improvvisato esperto di rodeo tremendo squassante, di brevissima esecuzione, seguito da una superveloce miniserie di coltellate risolutrici. Era accaduto che un toro imbestialito, rimasto incontrollato e quindi non più controllabile, aveva fatto il vuoto attorno a sé. Aveva posto in subbuglio tutto l’ambiente del macello, poiché i presenti macellatori, “mandriani”, inservienti, impiegati ed altri che vi bazzicavano, colti di sorpresa a cagione della improvvisa sfuriata animalesca, non sapevano se e come intervenire. Frenare, imbavagliare la massa scura che scuoteva, roteava e raschiava contro ostacoli trovati a portata di corpo, petto, schiena, corna e zoccoli in fremito, risultava fin troppo rischioso; pazzesco addirittura, date le circostanze e le risultanze dell’infuriata, sarebbe stato agire. Nessuno perciò pensava ad altro che a mettersi di lato, stare alla larga dal terremoto taurino, al riparo preservatore dell’incolumità personale.

           Tutt’a un tratto sbucò da non si sa dove un giovane “folletto”, falso-magro quindi robusto dietro la prima apparenza, sui ventidue-ventitre anni, abbigliato in disordine con una camicia ed un jeans molto molto casual. I suoi piedi, agilissimi come tutta la sua persona, erano scalzi; la mano destra impugnava un coltellaccio, la cui lama poteva gareggiare in lunghezza con l’avambraccio di un essere umano. Come un Ariel d’ispirazione, estrazione e fattura “scespiriana”, avanzò agile nei pressi dell’uragano toresco e s’appostò in attesa. Acquattato ma vigilissimo. I carboni ardenti negli occhi del giovane pimpante, similari a quelli del quadrupede, colsero frammenti d’attesa, di pausa semimmobile della bestia. Nel rintocco susseguente di pochi secondi, il “folletto” Santo Miniaci si mise alle terga dell’animale, gli saltò abilmente in groppa e, tenendosi in meraviglioso equilibrio per non cadere, con un vigore insospettato gli vibrò delle tremende coltellate, rapidissime una dietro l’altra. alla carotide ed alla vena giugulare. La furia, l’energia e l’essenza vitale, dopo brevissimi spasimi frementi, cedettero di colpo; il toro, colto dai fulmini della lama, si schiantò svitalizzato al suolo. Fu come se un sistema biologico fosse andato in corto circuito irrimediabile. L’intensissimo silenzio attonito generale ebbe un proprio corso ultramomentaneo. Seguirono un’ovazione e degli applausi per il rivelato matador-cowboy da rodeo, che prima era catalogato soltanto in veste di garzone-inserviente. Lo portarono in trionfo ed improvvisarono una “fiesta” gridante a base di “olè” ed “evviva”, conditi con esclamazioni di giubilo ed osanna di marca religiosa, tutto improntato alla più grande esultanza. Cui fece seguito un corollario di bevute vinaiole in onore del coraggiosissimo elemento che aveva liberato i presenti da una bella rogna.


Contatto

Non avete il permesso per visualizzare il contatto
nopic

Back to top